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C’è davvero da preoccuparsi nel leggere il susseguirsi di dati e statistiche che tratteggiano la situazione del nostro Paese in tema di legame tra scuola e lavoro, occupazione giovanile e inattività degli stessi giovani.

Il primo dato comune a queste statistiche è paradossale: mentre si diffonde sempre più l’istruzione tra i giovani, si assiste sempre di più a fenomeni come quello dei “Neet” (persone non impegnate né nello studio, né nel lavoro, né nella formazione) e l’aumento della disoccupazione giovanile.

Il secondo dato è ancora più drammatico: spesso le aziende non vogliono i giovani istruiti dalle nostre scuole. Gli imprenditori, a tanti livelli, a quanto pare non si fidano troppo della scuola italiana, dei nostri docenti, dei nostri dirigenti.

Il profilo atteso all’uscita della secondaria superiore, per la stragrande maggioranza dei nostri studenti, non è adeguato al lavoro, cioè a “stare nel mondo”. E i risultati si vedono: tanti nostri giovani hanno smesso di cercare un lavoro, non credono nella formazione (spesso appannaggio di clientele politiche), non hanno voglia di investire, sognano lo zaloniano “posto fisso”, meglio se statale, dove fare i propri comodi, sempre più bamboccioni.

Il sogno proibito sembra proprio quello di far passare il badge in mutande e poi tornare a casa.

A complicare  questa condizione è stato certamente il periodo di grande recessione, ma il problema, forse,  è più profondo. L’impietoso quadro ha determinato inevitabilmente un rinnovato interesse per la transizione scuola-lavoro da parte di ricercatori, policymaker, politici, tecnici, antropologi e sociologi.

La stessa Legge 107 della Buona scuola, varata a luglio, è attenta al problema e stanzia dei fondi per favorire tale transizione, rendendo obbligatorio e strutturale, per esempio, un percorso di 200 ore di alternanza anche nei Licei  a partire dalle terze classi; c’è la chiara consapevolezza del fatto che, già mentre si studia, sia necessario imparare a lavorare da qualcuno, uscire dalle quattro mura scolastiche e provare a cimentarsi in azioni pratiche lavorative a partire da ciò che si sta imparando tra i banchi.

Rimane comunque allarmante il gap tra ciò che si potrebbe (e si dovrebbe fare) e ciò che si fa! Basti pensare al fatto che le scuole, in affanno, stipulano convenzioni di qualsiasi tipo che poco o nulla hanno a che fare con il percorso scolastico degli studenti o con l’indirizzo di studio.

La forza, la frequenza, la pressione mediatica di queste voci, non ultima la lettera pubblicata su Orizzonte scuola, potrebbero indurre a vedere tale attività unicamente come un danno da riparare., se non da smontare del tutto, come se nulla ci fosse di buono.

Non è così!, o almeno, non sempre. Le leggi son, ma chi pon mano ad esse”, direbbe Dante.

Quanto è difficile far sì, in questo Paese e soprattutto nella scuola, che i dettati di legge non restino letterale morta. L’essenziale è la lezione di…, l’interrogazione di…, il registro elettronico.

E allora? E’ possibile ripartire? Da dove? Ci vuole un colpo di reni!

E’ indispensabile un passo in avanti per ripensare un modello di cultura, un modo di insegnare, un modello di lavoro. E’ necessario accrescere, aumentare, moltiplicare, valorizzare i buoni maestri, i buoni semi, i buoni esempi.

Noi abbiamo fiducia proprio nei buoni maestri.

E’ straordinario quello che sta accadendo nell’istituto superiore Felice Alderisio di Stigliano, proprio grazie ad un progetto di scuola-lavoro stipulato con la casa editrice Gemma Edizioni. I ragazzi hanno scritto un libro di racconti tutto loro. Non solo si sono cimentati nella scrittura, ma ne hanno curato l’editing, l’impaginazione, la copertina, la diffusione e il marketing, come una vera e propria casa editrice.

Sfido chiunque a declamarne l’inutilità. Innanzitutto, io, da professore tutor, ho imparato tanto.

Ho fatto il liceo e mi sono laureato senza aver messo piede, neppure una volta, in un’azienda, senza mai conoscere il metodo operativo di una struttura organizzata, di una divisione dei compiti finalizzati a obiettivi di produzione.

Ai miei studenti è data questa opportunità eccezionale. 100 ragazzi di vari indirizzi hanno scritto un racconto sul rapporto tra l’uomo e la scienza. Ancora non ci credono che fra un po’ potranno vedere il loro nome su un libro, il loro, ed anche su Amazon, o qualsiasi altro store diffuso su tutto il territorio nazionale.

Grazie ad un lavoro di squadra responsabile e sinergico, anche ragazzini di 14 anni possono definirsi autori.

Nessuno ci credeva, nemmeno io…e invece. Che bello!  E chissà se qualcuno vorrà continuare questo lavoro.

La crisi educativa ci chiede inevitabilmente di riappropriarci dello scopo dell’apprendimento, perché i ragazzi possano accettare il sacrificio dello studio, del lavoro, possano entrare nell’agone della competizione, del mercato e rimanere uomini desiderosi di conoscere, di scoprire le cose, la realtà, di riappropriarsi dello studio.

In questo senso,  il lavoro è stato un grande facilitatore, un eccezionale maestro. Che responsabilità allora diventa l’insegnamento e che responsabilità diventa l’apprendimento per non sciupare tutto questo.

E’ troppo urgente tornare alla conoscenza come a un’esperienza di apprendimento fondata dall’incontro tra persone, ma anche tra le persone e le cose.

Le didattiche delle scienze partiranno dalla realtà, ma anche quelle della humanitas, partiranno dalla realtà, dall’esperienza che gli uomini fanno con la realtà nell’impattarsi con le cose belle e brutte, con i fatti straordinari che capitano: il lavoro potrà essere l’ambito in cui poter sperimentare la conoscenza e riflettere sulla profondità del rapporto con la realtà stessa. C’è bisogno di uomini atti al folle volo, atti a desiderare. E di docenti, educatori, titolari di aziende capaci di soffiare su questa scintilla.

A noi questo sta capitando. E siamo grati della possibilità offertaci.

L’alternativa: la desolazione, il fallimento, il suicidio, la crisi, la rassegnazione.

 

  • Andrea Borraccia e i ragazzi di IV scientifico dell’istituto superiore Felice Alderisio di Stigliano (Matera).

 

Gemma Gemmiti
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