“Storie di giovani Made in Italy” è il titolo del primo libro scritto da Carola Speranza, giornalista e blogger che ha dato vita al blog Grandi Storielle: “storielle” perché riguardano persone comuni, non conosciute; “grandi” perché hanno un messaggio o un’esperienza personale importante da veicolare.
Da qui nasce il libro: il primo di una lunga serie di Grandi Storielle.
“Storie di giovani Made in Italy” ha la prefazione di Giammarco Sicuro, giornalista, che, sottolineando il suo ruolo e quello della giovanissima autrice, scrive:
Perché la giornalista, autrice di questo bel libro, è prima di tutto una ragazza perdutamente innamorata di questo mestiere, arrivando a definire la testimonianza del reporter «come un’arte del racconto della realtà». E in questo Carola è davvero un’artista, tanto da riuscire a superare ogni tipo di ostacolo (dalle paghe ridicole, ai colleghi che «le sfrecciano davanti») e a consegnare, con sorprendente e commovente (su di me ha avuto questo effetto) creatività, un testo che è soprattutto un manifesto per le nuove generazioni.
Tantissima è stata l’emozione e la commozione durante il lancio al Salone internazionale del libro di Torino, dove lunedì 13 maggio, nella Sala Argento, è stato presentato per la prima volta, insieme all’autrice, Carola Speranza, alla fondatrice della casa editrice Gemma Edizioni, Gemma Gemmiti, e l’attivista Nino Morana, in collaborazione con Libera Piemonte.
L’autrice ha scelto di scrivere dieci Grandi Storielle registrate per tutta Italia (da Palermo a Trieste): dieci storie di vita che fanno riflettere e insegnano, perché dietro ogni storia possiamo riconoscere il vissuto di persone come noi, che hanno testimoniato con parole semplici, anonime e non, spaccati di vita.
Nino Morana, attivista, 23 anni, ha raccontato la sua Grande Storiella: porta il nome dello zio Nino, poliziotto ucciso dalla mafia il 5 agosto del 1989. Esattamente 12 anni dopo la sua morte è nato lui.
Interviene così Carola durante la presentazione:
Faccio una domanda di cui sono sicura che nessuno sappia la risposta.
Per chi c’era a quel tempo chiedo: dove eravate e cosa stavate facendo il 21 giugno del 1989?
Ci sono delle date che sono storiche. Forse in questa sala molti si ricordano cosa stessero facendo quando hanno appreso la notizia dell’undici settembre. Forse in molti si ricordano come hanno saputo della morte di papa Giovanni Paolo II, il 2 aprile 2005. Sono quasi certa che tutti sappiano dove si trovavano durante la finale dei mondiali del 9 luglio 2006 e l’11 marzo 2020 quando l’OMS ha dichiarato lo stato di pandemia.
Ma se dovessimo invece pensare alla Prima Repubblica? Ce ne sarebbero tante; ma una, sono sicura essere conosciuta da tutti. Da tutti. È una data che ha fatto, purtroppo, la Storia di questo Paese, è la data che segna l’inizio di una fine, di un’era: 23 maggio 1992. Data che viene associata, per forza della ragione e del sentimento, al 19 luglio 1992. Prima la strage di Capaci, poi la strage di via D’Amelio. Prima la morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro; poi la morte di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Noi siamo abituati a conoscere la Storia con la S maiuscola tramite queste date: ma cosa succederebbe se imparassimo a studiare la Storia anche attraverso quelle date che non sono diventate storiche?
Il fatto che nessuno si ricordi che cosa stesse facendo il 21 giugno del 1989 è normale. È normale perché l’attentato che era stato preparato per quel giorno è stato sventato. Era tutto pronto per uccidere il magistrato più famoso di Italia, giudice istruttore del maxi-processo, colui che era riuscito a far parlare Buscetta e squarciare cosi il silenzio omertoso dei mafiosi.
Il 21 giugno 1989 doveva essere una data storica: doveva coincidere con la morte di Giovanni Falcone. Il magistrato, che era solito fare il bagno davanti alla sua villa, sarebbe stato ucciso tramite l’attivazione di diversi candelotti di dinamite nascosti tra l’abitazione e il mare dove si affacciava.
L’attentato fallì. Non ci fu nessun morto: la data pensata come storica diventa invece una giornata come tutte le altre. Secondo ricostruzioni postume, grazie all’intervento di alcune forze dell’ordine, i candelotti vennero ritrovati prima che potessero colpire il giudice.
Secondo preziose inchieste e testimonianze, tra coloro che, probabilmente arrivando via mare, riuscirono a ritrovare gli ordigni e sventare l’attentato c’era anche Nino Agostino.
E quindi, è normale che nessuno si ricordi cosa stesse facendo il 21 giugno 1989: ci ha pensato qualcun altro a non far diventare quella giornata, una data storica. Se allora non siamo chiamati a ricordarci di quella precisa data, imponiamoci di ricordarci quella del 5 agosto 1989: fateci caso, non sono passati neanche due mesi, quando Nino Agostino viene ammazzato davanti al portone di casa. E allora se è vero che la storia la fanno gli uomini (o forse solo alcuni) c’è invece un esercizio che possiamo fare proprio tutti, come dovere morale collettivo: portare avanti la memoria di tutte le grandi storielle delle vittime innocenti della mafia e portare avanti la lotta di Vincenzo Agostino e della sua famiglia: continuare a chiedere verità e giustizia per Nino Agostino, Ida Castelluccio e il bimbo che portava in grembo.
Bellissima testimonianza quella di Nino, cresciuto a “pane e Libera“, come dice lui stesso nel libro, che l’autrice ha dedicato a Vincenzo Agostino, nonno di Nino, morto lo scorso aprile.
[…] Mia mamma, quando era incinta di me, mi portava già allora alle loro manifestazioni. Sicuramente è stato il suo esempio, la sua forza e senso di responsabilità, essendo stata per anni referente regionale per la memoria per Libera, a spingermi a intraprendere la strada dell’attivismo. Per questa enorme eredità che sento sulle spalle e seguendo l’esempio di mia madre Flora, fin da piccolo ho sempre accompagnato i miei nonni in giro per tutta Italia, per portare avanti la memoria di Nino Agostino e Ida Castelluccio. […] Seppellendo mia nonna, ho capito che, da quel momento in poi, dovevo essere io a dare supporto a mio nonno, ero io che dovevo darmi da fare. […] Il mio è anche un racconto di protesta, per tutti quei momenti belli che non ho potuto vivere con mio zio, mia zia e il cugino o cugina che portava in grembo. È un racconto di protesta per il fatto che il giorno del mio compleanno coinciderà per sempre con l’anniversario dell’assassinio dei miei zii. Ogni anno vedo la mia famiglia piangere lo stesso giorno in cui spengo le candeline. Io per questo sono attivista: per raccontare anche questo. […]
Un grande progetto quello di Carola, da cui scaturisce un libro che continueremo a portare in giro per il mondo, perché Stefano, Nino, Sara, Arianna, Francesco, Zidane, Mara, Carola e coloro che hanno deciso di rimanere in anonimato, potremmo essere noi.
Un’unica prerogativa era richiesta: essere giovani e avere una grande storiella da raccontare.
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