IMG_20180401_230612_081.jpg

Un esperanto di emozioni – di Vincenzo Zoda

“Straniera Vita” di Andreea Simionel: un esperanto di emozioni.

Parole che vorticano con inconsapevole e pacata irruenza su una lingua nuova che si diverte a ibridarne altre.


La protagonista narratrice legge l’intorno e il suo passato, si incuriosisce delle cose e le fa avvenire, trasformandole in mondi pieni di continenti senza coste, popolati da sentimenti e pulsioni catturate, come lepri impazzite, nel sacco della verbalizzazione.

E lo fa con la spontaneità del viaggiatore che in treno decide generosamente di raccontarti la sua vita.
La forza narrativa è quindi, sì densa e avvolgente, ma rivela un’abilità ancestrale e innata, che traspare netta nel raccontare sincero e liquido. E al lettore non resta che assecondare il ritmo “atletico” delle emozioni, che legge e sprigiona.
Nell’intreccio di luoghi, genti, partenze e ritorni, i sentimenti si abbarbicano con la stessa fatica – ma con miglior risultato – di quanto non riescano a fare i rampicanti sui palazzi di quella Torino che diventa luogo-culla-riparo, ora avverso, ora gentile.
Un romanticismo ostinato che legge l’amore anche dove parrebbe nascosto, sepolto, vessato. La spinta determinata di un cuore giovane, coraggioso, vivace, che riesce a sfociare dall’ammasso indistinto della quotidianità, dalla quale nessuno sembra possa salvarsi, ancor più in un contesto di ostilità verso il diverso, verso lo “straniero”.

È annientato il semplicistico assioma che vorrebbe su due estremi di un asse cartesiano il punto di partenza e il luogo di arrivo, sul quale è spesso costruita l’equazione ‘fuga = vita facile’.
Dietro alla scelta di partire, cambiare mondo, scegliere di essere straniera, scegliere una “Straniera Vita”, c’è un Microcosmo di sentimenti-dolori, sensazioni-fatiche, emozioni-addii, deglutiti, proprio malgrado, e forse mai digeriti.
Ma quello che Andreea ci restituisce con generosità è molto altro: è la protezione dalle infinite domande senza perché, dai manifesti sporchi di cattiveria, da tutti quei “che se ne tornino a casa loro”, dal dolore delle partenze e dalla gioia dei ritorni, dal nostro a volte sentirci stranieri – che per esserlo a volte basta solo spostarsi un metro più in là, dalla paura di avere paura di una voce diversa, di un suono, di una parola, di una lingua diversa.

Cose meravigliose.

Stasera ordinerò una pizza con molto origàno.

Libero commento di Vincenzo Zoda ©

 

Gemma GemmitiUn esperanto di emozioni – di Vincenzo Zoda
Condividi questo post